È la foce di un fiume che si allarga a fiordo. Una spiaggia da dove l'acqua scappa, verso l'ora del tramonto. Chissà se l'acqua è dolce o salata qui. Poco importa, è sempre acqua, la differenza è importante solo per il nostro uso, non per l'essenza. Facciamo che è laguna e non se ne parla più. Tante alghe dall'odore pungente. Tante persone.
Una madre pettina a lungo i capelli di sua figlia. Una figlia gioca a carte con la madre circa novantenne. La gente che passeggia, che fa l'aperitivo al bar. Ci sono tutti: bambini, vecchi, famiglie, amici, solitari come me. Alcuni vestiti da sera, alcuni ancora in costume. Spagna che sembra sempre festa. La radio del bar suona "Sarà perché ti amo", e mi viene da ridere.
Poco fa una famiglia spagnola e due ragazze forse russe mi hanno chiesto indicazioni... in fondo, se non ho lo zaino in spalla, non sono tanto diverso da un villeggiante o uno del posto.
Mangio un formaggio di latte misto, semicurado, e aspetto il tramonto dietro i monti. Il Cammino è fatto soprattutto dei momenti di pausa, me lo stavo dimenticando.
Il treno è già arrivato a Firenze mentre inizio a scrivere. Ho una strana sensazione di continuità.Non so bene cosa significhi. Il cammino non si è concluso. A Montecassino non c'è scritto "sei arrivato". Infatti, dopo aver dormito a Roccasecca, ci sono tornato!
La Santa Messa
Scherzando, ma nemmeno troppo, ogni tanto dico che se facessero le messe di Bach, sarei un assiduo frequentatore di chiese. L'unico motivo che stamattina mi ha fatto uscire prima delle altre mattine, fare quasi 5km - ancora - fino alla stazione di Roccasecca, prendere il treno per Cassino e aspettare un autobus che mi riportasse all'abbazia, era la voglia di vedere una messa cantata in gregoriano. È stato molto più di questo. La messa dei monaci benedettini, nella sfarzosissima chiesa barocca dell'abbazia, è solenne, estremamente ritualizzata, sacra.
Quando l'organo inizia a suonare, dieci monaci, ovvero tutti i residenti di Montecassino, entrano in processione: uno porta l'incensiera, uno la croce, due portano candele alte come l'asta della croce, uno regge un libro che alla vista sa di storia, mistero, lusso e sacralità. Il libro, un Vangelo, sembra rilegato di velluto rosso e argento, ma forse esagero. Il monaco che lo porta lo tiene alto a coprire il viso. Gli altri monaci seguono, con in coda l'abate (credo), colui che dirà messa.
Mentre l'incensiere cosparge la navata di profumo, ogni monaco si inchina veso l'altare, quello con il libro lo appoggia con la cura con la quale si appoggia un bambino nella culla, o l'oggetto che contiene il messaggio che potrebbe salvare l'umanità, la Parola di Dio. La stessa cura che ho visto nel modo in cui un monaco di Plum Village "tocca" la campana e che non ho mai visto (fino a oggi) in un prete.
I monaci si mettono a fianco dell'altare, e mentre l'incensiere cosparge Libro e abate, iniziano a cantare. È uno spettacolo magnifico. Poi però, l'abate inizia a dire messa, una messa come tutte le altre. Con una particolarità. Tutto è solenne: ogni gesto, ogni parola, ogni voltar pagina. E il Gloria è un Gloria, che fa rizzare i peli delle braccia. Così come il salmo e tutte le parti che di solito sono una fastidiosa, dissonante litania.
Insomma, sembra che abbiano fatto scuola dai buddisti! O più semplicemente, hanno mantenuto il senso del gesto, l'attenzione al dettaglio. La forma che dà il senso dell'Alto, anche se il contenuto è quello che è. Capisco che il canto gregoriano non è l'ultima moda, ma perché di solito mancano questi gesti e questo senso di Sacro? dove li hanno lasciati gli altri?
Il segno di pace è diventato un mezzo inchino, anche questa mi sembra un'imitazione uscita male di un gesto che non conosciamo, ma non abbiamo più il coraggio di fare quello che veniva naturale, prendere la mano di uno sconosciuto. La mia vicina, a un metro di distanza e con la mascherina, per sicurezza si disinfetta le mani. Stringo forte le mani di Michela e Luca, voglio dir loro quanto sia stata curativa la loro delicata presenza.
Le attese e il rientro
C'è tempo di veder arrivare i pellegrini che ho conosciuto ieri, conoscerne uno nuovo, e poi cominciare il viaggio del rientro. Fino a Roma sto ancora con Michela e Luca, parlano del cammino che faranno la prossima estate... Perché è la vacanza che ha senso, il modo in cui vogliono passare il tempo libero. Camminando.
Questo testo è stato scritto sul treno del ritorno da Roma a Milano. Come spesso succede, una volta rientrato non mi sono piú ricordato di completarlo e pubblicarlo, fino ad oggi, che mi sto preparando a ripartire per un nuovo cammino.
Avrei potuto scrivere dell'ultima tappa del cammino, delle mucche sul sentiero che bloccavano il passaggio, di Cassino, una delle cittadine piú brutte d'Italia, rasa al suolo dai bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale e ricostruita senza nessuna cura, senza nulla di interessante, una lunga sequenza di palazzi dall'aspetto trasandato. La città contrasta moltissimo con la cura con la quale è stato riconstruito il monastero, perfetto e fedele all'originale. E poi c'era il cimitero polacco, un interno battaglione di morti, e la storia dei suoi sopravvissuti che sono rimasti esuli in Gran Bretagna, senza poter piú rientrare nel loro paese, perché avversi al regime comunista che in loro assenza si era instaurato con l'occupazione dell'Unione Sovietica.
Avrei potuto raccontare di come un cammino spirituale si conclude in un luogo il cui turismo oggi è legato alla memoria della guerra. Anche nel punto di arrivo, i pellegrini erano quella decina di persone strambe e arrivate a piedi, che contrastavano con le centinaia di turisti arrivati in pullman, molti dalla Polonia a rendere omaggio ai loro nonni e prozii, come noi si va a in Polonia a visitare Auschwitz.
Niente di male in tutto questo. Forse piú di ogni altra cosa mi ha esplicitato la differenza che c'è tra un cammino di pellegrinaggio e un cammino in luoghi meravigliosi e importanti per la nostra storia, ma che ti fanno sentire isolato, in un cerchio ristretto di appassionati e non in una comunità, in una corrente.
Ma questo non è piú racconto: sono riflessioni a un anno di distanza, che mi hanno fatto decidere di fare il Cammino Portoghese per Santiago, per sentirmi pellegrino fra pellegrini, pesce dentro l'acqua. O Porto mi aspetta, e da lí, ancora dopo cinque anni, Santiago.
Cos'è il silenzio? C'è quello che ottengo con i tappi nelle orecchie, chiuso in me stesso la notte, quando il vento temporalesco fa tremare e spifferare le finestre di una vecchia casa. I tappi amplificano il suono del mio respiro e il rumore dei miei pensieri.
C'è il silenzio di un bosco, che è silenzio della mente, ma è pieno di rumori: foglie e rami spostati dal vento, insetti, un fiume che scorre. Me lo sono goduto camminando qualche giorno risalendo il corso dell'Aniene.
C'è anche il silenzio della montagna, quando hai superato la linea dei boschi e fiumi e torrenti sono distanti. È un silenzio più profondo, dove a volte il vento diventa frastuono nei timpani, ma è come se, passando da un orecchio all'altro, liberasse completamente la mente, lasciando il vuoto, quello buono.
Le Gole del Melfa sono un posto strano. Si cammina su una strada provinciale chiusa al traffico. La strada corre sul fianco della montagna, al limitare del bosco. A valle, molto più in basso un letto di un fiume in secca. La diga di una centrale ne blocca le acque. La valle è stretta, il vento arriva delicato, ma a tratti si rinvigorisce. Cantano poche cicale e qualche uccello che si è spinto così in alto. Non c'è un fiume che suona, i passi sull'asfalto caldo sembrano ovattati, il vento suona delicatamente le foglie degli alberi più in basso. Silenzio.
Oggi ho percorso la tappa più lunga del cammino. Da Mandela si scende in fondo alla Valle dell'Aniene e si risale il fiume fino a Subiaco, lungo il percorso di una vecchia ferrovia e per sentieri boschivi.
Sul lungofiume si incontrano tanti raccoglitori di more, gente che corre o va in bicicletta. Nelle parti di sentiero nessuno.
Per una parte del tempo sto con F., di Merano, ragazzo di poche parole. Non è male camminare in silenzio con lui. Parte della strada la faccio da solo, e dopo circa 20km sento la necessità di sedermi a riposare. Rimango per una mezz'oretta a guardare l'acqua del fiume che scorre rapida e un albero che...
L'albero sul fiume
L'albero che fa radici aeree... non so come si chiama. Non so se dei rami si sono spezzati, e con le radici sono rimasti ancorati all'albero, o se le radici nell'acqua a contatto con il fondale si sono irrobustite.
Questi rami/radici sembrano barchette ormeggiate all'albero. La corrente li tira a valle e loro stanno lì. L'albero sembra solido, ma riceve una trazione continua che lo trascina in basso. Chissà se lascerà che le sue radici si spezzino e vadano per la loro strada, seguendo il fiume, o se invece queste, ormai forti, resteranno attaccate, con il rischio che la corrente che incessantemente le tira alla fine farà spezzare il tronco.
Non credo che l'albero possa scegliere. Non può decidere di lasciare o tenere. Il fiume scorre, lui resta e tiene, fino a quando qualcosa, naturalmente, lascerà andare.
L'Inchinata
Stasera mi fermo in un convento. La suora che mi riceve, mi dice che ci sarà una processione. Un centinaio di persone segue un gruppo di uomini che porta a spalle un quadro largo due metri e alto almeno tre, raffigurante Gesù. Lo portano dalla chiesa a valle, su per strade e scalinate poco più larghe del quadro, fino ad arrivare alla piazza della chiesa dedicata a Maria Assunta, dove c'è un dipinto decorato e trasportato in maniera simile. La piazza è piena di migliaia di persone.
I due dipinti si guardano e si inchinano tra di loro tre volte, seguendo la litania intonata dal parroco. Gli inchini sono eseguiti al grido do "Misericordia!". Tutti i presenti fanno il gesto dell'inchino con una solennità che mi impressiona, e mi trascina a fare lo stesso. Ma a chi o a cosa mi sto inchinando? Perché? Non colgo il senso di tutto questo. Probabilmente un rito che va fatto e basta, per tradizione.
Rocca Sinibalda non mi incanta nemmeno al mattino. Non ho voglia di partire, ho la scusa che la tappa di oggi è breve e la pioggia arriverà tardi.
Uscendo dal paese, su una strada che si chiama Via Cupa, trovo una villetta semi-abbandonata con almeno 15 cani di grossa taglia lasciati soli nel giardino. Abbaiano e guaiscono come matti. Davanti al loro cancello sono state tagliate le fronde degli alberi. I rami sono stati lasciati sulla strada a ostruzione del passaggio per una ventina di metri. Per passare devo avvicinarmi al cancello con i cani. Sembra fatto apposta...
Il sentiero è molto bello e il sole è piacevole, dopo il freddo di stanotte. A una fontana incontro due uomini, che avevo incrociato a Rocca Sinibalda, sicuro che andassero per una gita in montagna. Ma hanno due zaini più grossi del mio: sono pellegrini!
Vengono da Fossano, provincia di Cuneo. Sono partiti il giorno successivo al mio e hanno guadagnato un giorno. Hanno la tenda, utilizzata quando non hanno trovato dove dormire, come purtroppo gli accadrà stasera.
Camminiamo insieme per tutto il resto del percorso, una strada asfaltata pianeggiante e chiusa al traffico che passa sopra alla diga che chiude il Lago di Turano, per poi girargli intorno: una passeggiata facile facile con un panorama bellissimo. Il lago è verdissimo, i monti anche. Qua e là paesi arroccati.
Li saluto per contattare la signora che mi ospiterà in una casetta dove ci sta giusto il letto, un bagno e poco altro, di fronte alla casa del figlio, vista lago.
Al ristorante che sta proprio sotto la casetta, mi siedo a parlare con una donna in puro stile pellegrino: dopo una settimana sono nel mood. Quattro chiacchiere e la saluto. Sicuramente mi avrà preso per matto...
Penso di fare un giro per il paese di sera, ma comincia a diluviare. Castel di Tora è tra i 100 borghi più belli d'Italia, ma non sono riuscito a vederlo. Riproverò domattina.
Così ho passato la serata a scrivere e a leggere alcune poesie da un'antologia di Trilussa, che ho trovato nella stanza. La maggior parte non mi smuovono granché, ma qualcosa c'è:
La felicità
C'è un ape che se posa
su un bottone de rosa:
lo succhia e se ne va...
Tutto sommato, la felicità
è una piccola cosa.